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NAUFRAGI

CAPITOLO 1

Secondo uno schema concepito a partire dalle più rigorose regole geometriche, preciso in ogni suo punto, in ogni suo arco ed in ogni sua voluta, sorgevano sulle mura enormi figure apotropaiche, mostri dalle cui bocche sgorgavano copiosi fiumi di sangue scolpito nella roccia fredda, le quali circondavano l’arcata superiore dell’entrata impenetrabile della rocca. Camminai intorno alla muraglia con un’attenzione e una lentezza di cui potevo anche fare a meno perché avevo capito ormai che l’attacco a sorpresa non era più da parte nostra, ma da parte loro. Dovevo solo trovare un modo per mostrarlo agli altri membri della legione. Così, decisi che un fucile non sarebbe servito a niente. Non dovevo fare rumore. Mi avvicinai allo scudiero e mi feci dare una balestra di dimensioni piuttosto insignificanti. Quest’ultimo me la consegnò e me la porse con riverenza. Io l’afferrai senza tante cerimonie e iniziai a perlustrare le mura dal basso. Avvertii la voce di qualcuno dei miei sussurrarmi all’orecchio che la mia prossima mossa sarebbe stata quella di entrare e di dichiarare guerra a gran voce, ma io allontanai quel richiamo con un gesto e chiunque mi aveva parlato tacque. Continuai la mia marcia silenziosa finché non notai un punto scoperto nel muro. Una pietra era saltata via all’altezza dei miei fianchi e a quel punto decisi di sdraiarmi al suolo. Risultò complesso tirare da quella posizione. Mi spostai leggermente a destra, portando il peso sul fianco sinistro per avere il gomito destro libero di muoversi e di scoccare la freccia dal lato opposto rispetto al mio braccio. Incoccai il dardo e lasciai la presa sul corpo della balestra. Trattenni il respiro mentre un lieve brusio alle mie spalle s’innalzò leggero. Molti tra i miei uomini non apprezzarono la mia mossa, ma questi ultimi seppero tacere quando accadde ciò che narrerò in seguito. Un gemito soffocato si udì dall’interno della poderosa cinta e un sottile rigagnolo di sangue fuoriuscì dal foro tra le rocce. Osservai la veloce discesa del liquido verso il suolo e capii. Tutta la legione capì. La mia freccia aveva fatto centro.

A quel punto scoppiò il delirio. La lotta divenne pura violenza. Le porte si aprirono e fuoriuscì una moltitudine di corpi di uomini armati impossibili da contare. Comparvero urlando e con almeno cinque lance che spuntavano dalle mani, quasi fossero i prolungamenti delle loro stesse dita. Seguii con gli occhi i guerrieri nemici, ma sapevo come sarebbe finita. Loro erano inarrestabili, forti e avevano sulle loro spalle una conoscenza dell’arte militare notevole, tuttavia i miei uomini ed io eravamo pronti a questo. Avevo fatto posizionare poche legioni davanti all’entrata della città sapendo che loro sarebbero usciti in massa. Successivamente, dopo che la prima parte di battaglia si sarebbe consumata, il resto dei nostri soldati sarebbe sbucato da dietro le mura e avrebbe sbaragliato i rimanenti.

Così avvenne.

Tornai a palazzo circondato da tutti gli onori che spettavano ad un principe che vinceva una guerra. Venni ricoperto di lodi e per me il re fece preparare un banchetto. Bellissime danzatrici dai veli ondeggianti c’intrattennero per il resto della serata. Gli abitanti del villaggio mi ricoprirono di doni.

La mattina successiva fui solo. I medici del palazzo mi avevano costretto a letto quando, la notte precedente, svenni per quello che definirono un trauma cranico. I dottori dissero che avevo subito una forte botta alla testa durante la battaglia per la quale io ero tornato vittorioso. Quindi dormii fino al mezzogiorno della giornata successiva. A quel punto, si formarono nella mia testa una serie di immagini impossibili da collegare tra di loro per somiglianza o per significato. A tratti, le figure sembravano calde come il fuoco o fredde come l’inverno; erano ampie come l’oceano, ma anche esili come erba. Queste ultime sembravano spezzarsi e poi ricomporsi davanti ai miei occhi in maniera matematicamente irrazionale come forare l’acqua. Contai cinque immagini prima di ridestarmi.

Il sogno si aprì con la figura di un fuoco ardente, seguito da un veliero che solcava l’oceano. L’immagine successiva mi mostrò una lettera scritta a mano con un’ottima grafia posizionata sotto ad una finestra dalla quale non proveniva molta luce. La quarta figura mostrava il dito indice di una mano destra che sfiorava la superficie di un piccolo rigolo d’acqua, sulla quale si formarono delle sottili increspature. L’ultima immagine mi mostrò una bussola. Infine tutto scomparve.

Quando mi svegliai, era tardi e avevo saltato il pranzo. Le giovani serve del palazzo me ne avevano tuttavia conservato una parte. Non era un pasto degno di un principe, ma mi accontentai.

Uscii nei giardini reali per schiarirmi le idee. Ovviamente, la mia mente mi riportava in quegli esili attimi che avevano costituito l’inconscio del mio sonno della notte appena trascorsa. Riuscivo a percepire quelle immagini, tuttavia non coglievo i movimenti, gli spostamenti d’aria, lo sbuffare delle onde che s’infrangevano contro il veliero. Tutto era confuso, come rinchiuso in una prigione di nebbia. La testa mi faceva ancora male  a tratti, ma le mie condizioni erano decisamente migliorate rispetto al giorno precedente. Il colpo non era stato così forte come i medici avevano decretato. Camminai lungo la strada in mattoni ben lucidi affiancando due statue in marmo rappresentanti due giovani alate. Erano statue rivestite da un leggero strato di polvere, alte almeno due metri ciascuna. Erano imponenti e maestose. Mi sedetti su una panchina di fronte a queste ultime e loro mi permisero di osservarle.

Passò circa mezz’ora quando mi sentii chiamare alle mie spalle.

Matilde D. 2S

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