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Naufragi – capitolo 3

Di spazi immensi era formata la terra barbara. Era stata creata da mani ampie, quella terra, mani di chi sa modellare la terra.

Era composto anche da una terra sterile, quel territorio: gialla, dura e le calzature dei soldati non lasciavano nemmeno la traccia di un’impronta.

Il mercante ci accompagnò nel centro abitato, il quale era governato da una piccola cerchia di persone, ricche, sicuramente, ma che, a giudicare dal viso, non avevano dormito per parecchie notti. L’esercito aspettò fuori dalla porta mentre il mercante mi presentava agli uomini. Questi ultimi non sembravano persone forti, temprate dagli eventi terribili che avevano vissuto per colpa dei barbari, i quali li avrebbero potuti rendere uomini più duri e nerboruti; notai che avevano l’aria appassita come quella degli spettri. C’era inoltre qualcosa che li accomunava tutti tra loro, qualche caratteristica fisica come le palpebre incappucciate, l’incurvatura di un angolo delle labbra o ancora i pollici spessi e incurvati. Potevano essere parte della stessa famiglia.

Si dimostrarono cortesi nei miei confronti.

-“I barbari sono alle porte.”- Disse uno degli uomini.

-“Dobbiamo combatterli ora.”- Disse un altro –“E ci farebbe comodo il suo aiuto…”-

-“L’ausilio del suo popolo, naturalmente.”- Specificò un altro uomo ancora, biascicando le parole e tormentandosi le mani come fosse agitato. Annuii. Li avrei aiutati di certo.

Il mercante stava a sentire in disparte, lontano, senza proferire parola. Nessuno tra i presenti lo nominava né parlava con lui o addirittura non sembrava accorgersi della sua presenza.

Quando l’assemblea fu conclusa, venni accompagnato in un luogo dove il mio esercito ed io avremmo potuto passare la notte. Per il giorno dopo si prevedevano grandi preparativi per le battaglie.

Non ci fu il tempo tuttavia per il giorno dopo.

Accadde quella notte stessa. Un gruppo di persone ignote penetrò nel palazzo del villaggio, dove anch’io risiedevo, e fecero razzia delle poche provviste che ancora al villaggio gli abitanti possedevano. L’uomo che all’assemblea discorreva agitato svegliò l’intero paese mettendo a soqquadro il castello pur di trovare i malfattori.

-“Non è possibile…”- Mormorava tra sé –“Non è possibile…”-

D’istinto, molti degli uomini mi si avvicinarono. Il mio esercito ed io eravamo la loro unica speranza. Espressi con molta chiarezza il fatto che noi non saremmo mai andati a recuperare ciò che i cittadini avevano perso. I beni, i gioielli e il cibo erano spariti. Gli abitanti del villaggio dovevano conviverci. 

Inoltre se i barbari si erano presentati ad un’ora così silenziosa della notte in cui tutti i cittadini erano per forza nel villaggio, dovevano essere sicuri di ciò che facevano. Perciò, i barbari erano già entrati in città.

-“Com’è possibile?”- Domandò uno degli uomini.

-“Non li abbiamo mai visti.”- Rispose quello agitato. –“Posso assicurare che non sono mai… ma come hanno fatto?”-

Spiegai loro che era necessario tenere guardie sveglie anche di notte. Loro risposero che ci avevano provato, ma rimaneva il fatto che, un tempo, quelle guardie erano mercenarie e gli uomini avevano paura che si schierassero dalla parte nemica. Più che giusto, pensai. Eppure qualcuno doveva fare la guardia. Si optò per i cittadini stessi, almeno una decina per ogni lato del castello ogni notte. Chiaramente il mio esercito doveva vegliare sempre, indipendentemente dal fatto che gli abitanti ci fossero.

Dalle sere successive il mio esercito ed io operammo nel seguente modo. I cittadini avevano paura e i volontari erano scarsi, ma dal momento che c’era bisogno di ulteriori controlli, i cittadini vennero obbligati a fare la guardia ai confini del villaggio. 

Le prime dieci sere passarono tranquille.

Durante l’undicesima si manifestarono disordini. I cittadini erano stanchi, l’esercito anche e gli uomini lo erano già da parecchie settimane. Ognuno nel villaggio aveva bisogno di dormire, ma non si poteva.

-“Da quando sei arrivato ti senti il principe anche di questa terra!”- Il vecchio agitato mi urlò contro. Sebbene gli altri uomini volessero calmare la lite, si trovarono anche loro ad essere d’accordo con il vecchio.

-“Alla fine è vero che vuoi solo comandare…”-

Stavo per ribattere che era il mio compito comandare, che io ero il capo dell’esercito ed era l’unica cosa che dovevo fare e inoltre non dovevo nemmeno farlo per forza, perché ero lì per aiutarli e avrei potuto benissimo tornare indietro e farli morire tra le mani dei barbari se avessi potuto scegliere.

Tacqui immediatamente e subito tacquero anche gli uomini. Mi voltai di scatto. Sotto una finestra poco illuminata c’era una lettera scritta a mano con una grafia poco leggibile. L’afferrai e lessi. Era chiaramente da parte dei barbari.

-“Che dice? Che cosa dice?”-

-“È una dichiarazione di guerra.”- Risposi. I barbari ci avevano dichiarato guerra con una lettera.

Ovviamente sul messaggio non c’era scritto: Vi dichiariamo guerra, ma il senso era chiaro. L’indomani mattina, all’alba, i nemici  avrebbero voluto parlare.

C’erano molte cose che non riuscivo a comprendere come, ad esempio, chi avesse messo la lettera in quel posto – una spia? Un barbaro infiltrato? – e il motivo per cui quell’immagine l’avevo già vista in un luogo sconosciuto.

Non dormii quella notte. La mattina dopo, all’alba, ero fuori dal villaggio insieme al mio esercito. I barbari erano come tutto il popolo se li aspettava – la stessa classica descrizione che si attribuisce loro. Erano grossi, forti, vestiti di pelliccia e imbracciavano armi pesanti. CHI? Ci fecero capire dall’aspetto che non volevano proporci una tregua.

-“Volevo il capo, non uno straniero.”- Tuonò uno di loro.

-“Sono il loro capo, ora. Dovrai parlare con me.”- Risposi. Il barbaro decise che era arrivato il momento in cui il villaggio doveva essere inglobato al suo popolo e che c’erano due vie per farlo: quella con la guerra e quella senza. I cittadini del villaggio non volevano far parte del popolo barbaro perciò la decisione fu presa.

Diventa semplice ora raccontare i fatti nell’ordine in cui sono avvenuti.

Per prima cosa, ci furono periodi antecedenti alla guerra vera in cui i barbari continuavano a fare razzie e il popolo si chiudeva in se stesso, incapace di andare avanti. Molti cittadini che facevano la guardia morirono e l’avanzata barbara divenne inarrestabile.

Quando la guerra scoppiò, era passato un anno dalla dichiarazione effettiva.

Il capo dei barbari batté la spada sullo scudo talmente forte da svegliare tutti i cittadini nello stesso istante. Scesi in battaglia e scoprì in poco tempo la crudeltà dei nostri rivali. Erano veloci, forti, praticamente imbattibili. La loro era una strategia vecchia però, rimessa a punto numerose volte e, giocando d’astuzia, il mio esercito ed io vincemmo.

La loro tecnica si basava sull’accerchiamento, ma il popolo nemico non aveva preso in considerazione un importante dettaglio. Nell’ultima battaglia da cui ero tornato vittorioso prima di questa, anche io avevo utilizzato l’accerchiamento, ma la differenza era nel fatto che le mie truppe laterali, quelle che avrebbero dovuto chiudere il cerchio intrappolando i nemici erano nascoste, non si vedevano. Quelle dei barbari invece erano visibili. Il mio esercito ed io riuscimmo a vincere con la stessa tattica, ma migliorata.

Li avevamo sconfitti, il nostro contributo in questa terra si era concluso, ma mancava ancora qualcosa.

A salutarci per la nostra partenza si ripresentò il mercante, il quale trovò un alibi perfetto per la sua assenza prolungata durante parte di quell’anno lungo in cui mi trattenni nel suo villaggio. Egli, infatti, ogni tanto si faceva vivo, discorrendo a bassa voce con gli uomini dell’assemblea e poi partiva prima ancora che gli si potesse parlare.

-“Sono un mercante, la mia professione non aspetta di certo la guerra né i capricci degli uomini.”- Affermò.

-“Sono pienamente d’accordo.”- Mi affrettai a rispondere.

Salii sulla nave accompagnato dal mio esercito e dai ringraziamenti della gente.

Mi addormentai nella stiva della barca immediatamente. I miei pensieri erano confusi. Avevo bisogno davvero di dormire, eppure nei miei sogni credevo di essere sveglio.

Quando mi alzai i marinai erano agitati. Salii sul ponte per chiedere spiegazioni, ma non feci in tempo perché le trovai da solo. Acqua. La nostra nave imbarcava acqua.

Matilde D. 2°S

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