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NAUFRAGI

CAPITOLO 2

Aveva la voce roca da vecchio marinaio, temprata dalle onde e dal sale marino, dalle tempeste e dalle copiose piogge che si fondevano nel mare. Mi alzai dalla mia panchina salutando le due giovani alate e seguii il re nella grande sala.

All’interno della sala vi erano disposte cinquanta sedie dorate in cerchio, sistemate su un podio circolare che, per mezzo di tre gradini, permetteva l’accesso ad un piccolo piazzale nel quale ardeva al centro un fuoco alimentato da tre donne che sedevano su tre seggiole in legno dietro alle cinquanta sedie.

Il re prese posto su una tra le sedie, decorata mediante incastonatura di numerose pietre e di cammei. Altre quarantasette persone sedevano già ai propri posti. Molti di loro li conoscevo, molti non li avevo mai visti perché erano testimoni. Questi ultimi non erano mai le stesse persone in ogni riunione che veniva tenuta nel nostro palazzo. Mi sedetti al fianco del re e l’uomo che aveva parlato si accomodò nell’ultimo posto rimanente, casualmente proprio di fronte a me.

Ero appena tornato vittorioso da una guerra e ora dovevo partire di nuovo, riflettei e il mio pensiero si rivelò corretto. Il re iniziò l’assemblea con parole dal sapore ampolloso che alla fine tutti conoscevano perché le avevano sentite troppe volte. Quando il re mi interpellò, io ovviamente dovetti fornire ai funzionari una mia versione della guerra appena vinta, ai testimoni e al resto delle persone che sedevano. Io avevo vinto, il nostro popolo era forte e i nemici erano cattivi e crudeli, ma non abbastanza, perché li avevamo sconfitti, quindi erano deboli. L’assemblea esultò. Ognuno di loro, in fondo, voleva sentire solo quelle parole. Ogni volta che si dice che il proprio popolo è il più forte, tutti si armano di un nuovo coraggio e di un nuovo orgoglio per le guerre future e questo era tutto ciò che volevamo.

Eppure, fu il nuovo arrivato a sostituirmi nella parola, non lo fece il re.

-“Con il rispetto che provo verso le vostre maestà e il vostro regno…”- Dunque il nuovo arrivato era uno straniero. Si accarezzò la lunga barba grigia abbassando la testa in un lieve inchino. –“Ho bisogno di un grande esercito per sconfiggere una minaccia venuta dal Nord.”-

Il re ringraziò per tutte le lusinghe e descrisse il nuovo arrivato come un agiato mercante del Sud, tuttavia il re tremava. Si conosceva la minaccia che arrivava dal Nord e nessuno aveva mai avuto intenzione di combatterla, ma mai qualcuno si era spinto fino ad un regno lontano per chiedere aiuto. Il re ne rimase colpito. Di solito, chi si avventurava per i mari che separavano il Sud dall’Est o dal Nord non arrivava a destinazione, eppure l’uomo era vivo ed era arrivato al nostro palazzo all’Est. L’avventura del mercante quindi incuteva profondo rispetto verso di lui.

Conclusa l’assemblea, il re non aveva deciso nulla e aveva preferito rimandarla a quella sera stessa. Il mercante non avrebbe presieduto e al posto di una parte dei testimoni si sarebbe seduta parte dell’esercito. Quella sera dunque, il re decise che l’esercito si sarebbe imbarcato verso la terra del mercante.

-“Padre”- Dissi, quando il re ed io eravamo soli –“Non tornerà nessuno vivo dall’impresa.”-

-“Il nostro è un grande popolo. L’hai detto tu stesso.”- Rispose.

-“Non ha senso impegnarsi per un così pover’uomo! I barbari distruggeranno anche noi.”-

-“Oppure saremo noi a distruggere loro, figliolo. Pensa che effetto faremo al resto del mondo se vinceremo contro i barbari.”-

-“Moriremo tutti.”-

-“La sentenza del re è già data. Domani, tu e altri uomini vi imbarcherete con il mercante verso la sua terra.”- Ignorando le mie proteste tutt’altro che insensate, il re se ne andò.

Il giorno dopo, l’acqua s’infrangeva leggera e morbida sulla prua lignea del veliero del re. Il mercante sedeva sottocoperta e io avevo il comando sul resto dell’equipaggio. Sedevo osservando il mare al fianco del marinaio che dirigeva l’intera nave con le mani strette al timone. Ammiravo le gemme di sole che rimanevano incatenate tra la spuma del mare formatasi a seguito dell’impatto delle onde contro il corpo della nave.

Navigammo per tre giorni senza alcuna sosta. Alcuni membri dell’equipaggio si sentirono male, ma non a causa delle provviste perché avevamo calcolato acqua e cibo minuziosamente. Le notti sottocoperta erano agitate. Dormivamo dondolati dal flusso continuo dell’acqua e spinti dai veloci cambi di corrente.

Quella notte non c’era nessuno al timone. Il marinaio si era addormentato. La tempesta prometteva grandi fulmini e iniziò improvvisamente a piovere. La pioggia cadeva in grosse quantità, come se il mare non fosse già pieno d’acqua. Quando il primo tuono rimbombò come un tamburo prima di una guerra, il marinaio si svegliò e prese il suo posto al timone. Il mercante salì insieme a molti altri uomini a dare una mano ai rematori. I fulmini rischiaravano il cielo nel bel mezzo della notte. Ora anche il viso sorridente della polena sembrava impaurito.

Matilde D. 2S

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