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LA GIUSTIZIA RIPARATIVA

Credete possibile che una figlia rimasta orfana e l’assassino di suo padre si possano trovare a parlare faccia a faccia seduti a un tavolo davanti ad una tazza di tè? Se la vostra risposta è stata no, così come la mia inizialmente, ebbene vi state sbagliando. 

 

Ma torniamo un attimo indietro per capire il motivo di questa insolita e apparentemente ovvia domanda. A Ottobre del 2022, il liceo “Carlo Cattaneo” di Torino ha organizzato per gli studenti di alcune classi un percorso relativo alla cosiddetta “giustizia riparativa”. Quando in classe ci è stato comunicato che per Educazione civica, materia non sempre amata dagli studenti, avremmo svolto questo percorso formativo, ero piuttosto confuso e anche un po’ scettico. Ciò che ho subito pensato è stato “Ecco un laboratorio ambiguo che non mi tornerà mai utile nella vita”, ma di lì a poco mi sarei dovuto ricredere. Ora però iniziamo a rispondere a qualcuna delle domande che sicuramente vi starete ponendo, come questa: “Ma cosa sarebbe questa giustizia riparativa?”. Beh, questa domanda non ha forse una risposta precisa e assoluta, ma con questo termine si indica un approccio alla giustizia che considera il reato commesso prevalentemente come un danno, non solo per la vittima o i suoi familiari, ma anche per lo stesso reo e per la società tutta. Tale approccio prevede dunque un dialogo diretto tra la vittima e il reo, improntato a condividere con l’altro le sofferenze che il gesto commesso ha causato a entrambe le parti. Quindi, tramite una serie di articoli su questo tema, e soprattutto grazie ad un primo incontro in Auditorium con i curatori di questo progetto, padre Guido Bertagna e i cappellani del carcere ‘delle Vallette’ fratel Jean e fratel Silvio, che sono stati molto disponibili e hanno dimostrato di aver investito molto tempo e molta fiducia in esso, mi è stato possibile farmi un’idea  abbastanza chiara, seppur teorica, di cosa fosse la giustizia riparativa. Tale incontro è servito anche a farmi riflettere su un altro aspetto del sistema giuridico italiano, vale a dire quello delle carceri, luoghi in cui risulta molto difficile che avvenga una concreta rieducazione dei detenuti, a causa della situazione di enorme disagio da cui sono caratterizzate. 

Tuttavia, molto più impattanti e d’effetto sono stati il secondo e il terzo appuntamento, ossia  l’incontro a Ivrea con la figlia di Aldo Moro e una delle ex brigatiste complici del suo rapimento e omicidio, Adriana Faranda, e l’incontro avuto con alcuni detenuti presso la Casa Circondariale Lorusso e Cotugno (alias carcere ‘delle Vallette’ dalla zona in cui si trova). In entrambe le occasioni ho avuto modo di parlare direttamente e di vedere con i miei occhi chi fossero i “criminali” di cui si sente parlare alla tv o che si vedono nelle serie, e vi assicuro che non c’è nulla di più lontano e diverso da ciò. Quello che, infatti, colpisce più di ogni altra cosa, a mio parere, è vedere che dietro a quelle accuse o a quel reato commesso, più o meno grave che sia, si cela una persona tale e quale a noi. Così come le vittime e i loro familiari provano dolore, lutto, rabbia, tristezza e tante altre emozioni, anche loro, allo stesso modo, provano rabbia, tristezza e delusione per ciò che hanno fatto. 

Ciò che personalmente mi ha portato a riflettere maggiormente è stato sentire parlare Adriana Faranda della sua esperienza e di come il percorso di giustizia riparativa sia stato essenziale per lei, ma anche per la stessa Agnese Moro, per riuscire ad andare avanti e  riprendere una vita normale. Proprio Adriana ha sottolineato come, nel momento stesso in cui ha deciso di prendere parte all’organizzazione del rapimento di Aldo Moro, non solo la vita dello stesso e di tutti i suoi familiari è cambiata per sempre, ma anche la sua e quella di tutti quelli che, come lei, troppo giovani per accorgersi dell’errore che stavano commettendo, si sono rovinati la vita sporcandosi le mani con il sangue di innumerevoli persone. Ed è proprio questo l’aspetto che è importante sottolineare per comprendere a fondo quale sia lo scopo della giustizia riparativa. Il sistema carcerario italiano, infatti, nasconde in sé una grande falla. Ciò che infatti causa una maggiore percentuale di recidiva, è il fatto che il carcere venga visto più come un luogo in cui punire i rei piuttosto che un luogo in cui rieducarli. E consiste proprio in questo l’errore, poiché trattando i carcerati con minore dignità, come se fossero merce o bestiame, stipandoli nelle celle e privandoli di servizi come l’acqua calda, questi ultimi sono portati a provare un senso di odio nei confronti delle istituzioni, dalle quali si sentono abbandonati ed emarginati. 

Come ha testimoniato Adriana Faranda, la parte più complicata del reinserimento all’interno della società è proprio far sì che il resto della comunità non ti guardi con occhi diversi e accusatori, bensì comprenda che c’è stato un pentimento vero e sincero e uno sconto di pena adeguato. Ed è proprio questo che il percorso di giustizia riparativa vuole cercare di sottolineare: il lato umano dei colpevoli di reati anche piuttosto gravi. Essi, parlando faccia a faccia con i familiari delle vittime, sono portati a pentirsi profondamente e in modo più sincero. Contemporaneamente, però, l’incontro tra reo e vittima, contribuisce anche a far emergere il lato umano del reo, che agli occhi della vittima, che magari in precedenza lo aveva guardato con odio e disprezzo, assume un aspetto diverso. Ciò non vuol dire che con il percorso di giustizia riparativa si vada necessariamente incontro al perdono da parte della vittima nei confronti del reo, ma il percorso stesso può servire a superare un accaduto tremendo come la morte di un padre o di una madre. Particolarmente d’effetto è stato vedere Adriana Faranda e Agnese Moro parlare in tranquillità sedute l’una accanto all’altra, e sottolineare come, grazie a questo nuovo progetto di giustizia riparativa, entrambe siano riuscite ad aiutarsi reciprocamente.

 

Sperando di essere riuscito almeno in parte a farvi capire di che cosa si sia occupato questo percorso formativo, concludo invitandovi a fare una riflessione: la  giustizia riparativa potrebbe essere forse la soluzione a quello che è il problema del sistema penitenziario italiano?

 

Alessandro S. 4N

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