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IO VOGLIO SCRIVERE CHE LA MAFIA È UNA MONTAGNA DI MERDA!

A 45 anni dalla sua morte, la storia di Peppino Impastato non è tra le più note. Camminare nelle sue stesse strade, visitare la sua casa, conoscere la sua storia, un percorso verso la legalità che assomiglia a quello di purificazione.

 

“Sei andato a scuola, sai contare?” “Sì, so contare” “E sai camminare?” “So camminare”                      “E contare e camminare insieme lo sai fare?” “Credo di sì” “Allora forza, conta e cammina…”

 

Cinisi – Mi chiamo Giuseppe Impastato, ma tutti mi chiamano Peppino. Sono nato nel ’48 a Cinisi, un minuscolo e sperduto paesino vicino a Palermo. Ho un fratello, si chiama Giovanni, una mamma, Felicia e forse ho avuto anche un papà, Luigi.

Da piccolo mi piaceva giocare all’aperto, ma mia madre Felicia riprendeva sempre me e mio fratello. Alcune volte non la capivo. Sembrava avesse paura del mondo esterno. Paradossale. Il male più grande non era altro che un’ombra dietro di lei.

Luigi non è mai stato il tipo di padre con cui si va a vedere la partita del Palermo il sabato sera. Il rapporto con mio padre non è mai stato dei migliori.

 

Uno, due, tre, quattro, cinque, dieci, cento passi

 

La mia famiglia abitava in corso Umberto Primo, la via principale. Cinisi è un bel paese da visitare, meno da vivere. Le persone sono simpatiche, amichevoli, gentili, forse un po’ troppo. O forse lo sono perché sapevano chi ero io, anzi, chi era la mia famiglia.

Mio padre e mio zio lavoravano insieme nella stessa attività. Zio Cesare era il capo, Luigi e i suoi amici i sottoposti. Una piramide gerarchica, come quella degli antichi Egizi, che aspettava soltanto il mio inserimento. Un gioco pericoloso che mia madre non ha mai approvato ma a cui ha sempre dovuto sottostare.

 

Uno, due, tre, quattro, cinque, dieci, cento passi

 

Zio Cesare è morto una mattina del 26 Aprile del 1963. Era appena salito sulla sua Giulietta, aveva messo in moto e poi, niente. Una bomba nell’impianto di accensione lo aveva fatto saltare in aria come il tappo di una bottiglia di champagne a Capodanno. Può sembrare brutto ma, in un certo senso, lo ringrazio per la sua morte. Da quel momento ho finalmente aperto gli occhi su chi fossero davvero mio padre e i suoi amici, quale fosse la loro attività e la storia della mia famiglia. Una sola parola, forse la più banale per il contesto in cui vivevo, ma allo stesso tempo non la più scontata: Mafia.

Mi ha fatto schifo. Mi hanno fatto schifo mio padre e tutti i suoi amici, mi ha fatto schifo la sua cosca, mi ha fatto schifo tutto. Il risultato? A quindici anni Luigi mi ha cacciato di casa.

 

Uno, due, tre, quattro, cinque, dieci, cento passi

 

A zio Cesare è succeduto un altro uomo, Gaetano Badalamenti, ma tutti nel paese lo chiamavano Tano o Don Tano. Strano, era tutt’altro che un uomo di chiesa.

La sua figura potrebbe essere paragonata al Kraken di Ventimila leghe sotto i mari e la povera Cinisi alla nave del capitano Nemo. I suoi tentacoli avvolgevano tutto, compreso l’aeroporto dove Tano Seduto faceva atterrare indisturbato montagne di coca.

Inutile dire che il grande capo e i suoi compari diventarono le star della trasmissione “Onda Pazza” di radio AUT.

 

Uno, due, tre, quattro, cinque, dieci, cento passi

 

Onda Pazza non era e non doveva essere un programma come gli altri. Per questo essa avrebbe colpito con un’arma tanto nobile quanto sottovalutata: la satira. 

La mia notorietà iniziò a crescere come l’odio che i mafiosi nutrivano per me. Mamma sapeva che finché mio padre fosse stato in vita, lo sarei stato pure io. 

Ma Luigi è morto nel settembre del ‘77, mia madre è rimasta vedova e io fui un passo più vicino alla morte. Al funerale ci sono andato a testa alta, come i falsi amici di mio padre. Impostori, ipocriti, stronzi erano stati loro a tirar sotto mio padre. Mio fratello Giovanni è riuscito a stringere loro la mano, io no: mi rifiuto.

 

Uno, due, tre, quattro, cinque, dieci, cento passi

 

Aldo Moro mi stava simpatico. Democratico, politico, giurista, ma anche un padre e un italiano. Non pensavo che il mio e il suo destino sarebbero stati così legati. Il 9 Maggio del 1978 Moro iniziava il suo ultimo giorno di prigionia e io l’ultimo tra i vivi.

 

Uno, due, tre, quattro, cinque, dieci, cento passi…boom.

 

Il giorno dopo tutti i giornali parlavano della Renault rossa in via Caetani a Roma, e di me, un attentatore suicida, non si sarebbe ricordato più nessuno. Tano Seduto voleva tapparmi la bocca per sempre, ma non sapeva che soffiava una nuova aria di legalità in Sicilia, anche grazie a mamma Felicia e mio fratello Giovanni. Loro non si sono arresi mai nel trovare la verità, per questo li ringrazio.

 

Peppino Impastato è morto il 9 Maggio del 1978. Per insabbiare l’omicidio, la polizia corrotta convinse il giudice che Peppino era morto suicida nel tentativo di costruire una bomba per un attentato. Gaetano Badalamenti viene incriminato dell’omicidio soltanto nel 2002, dopo un’intensa battaglia legale condotta in primis dalla mamma Felicia. 

 

Il 10 marzo 2023 Cinisi è lo stesso piccolo paese di sempre,  il cielo è limpido e fa caldo per essere soltanto ai primi di Marzo. Via Umberto I è deserta se non per una chiassosa scolaresca davanti al civico 220. La porta è aperta: è Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato. Dentro c’è tutta la storia e la vita di Peppino: la sua libreria, la sua prima radio, il tavolo dove ha mangiato, il letto dove ha dormito. C’è anche Giovanni Impastato, qualche capello in meno, le rughe, gli occhiali, ma con gli stessi occhi vivi e la passione per la legalità che non lo hanno mai abbandonato. Parla, racconta ai ragazzi la storia di suo fratello, della sua famiglia e di come si debba sempre preferire la legalità alla corruzione.

Le scolaresche vanno e vengono ogni giorno ma lui no. Lui, Peppino e mamma Felicia saranno lì per sempre.

 

Letizia F., Ludovica R., 4H

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