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IMMORTALARE E NON VIVERE, UNA TENDENZA MODERNA.

“Su questa foto si potrebbe scrivere un trattato di sociologia.”
Con queste parole il giornalista Riccardo Maggiolo ha condiviso, sul suo profilo Linkedin, la foto del tiro grazie a cui LeBron James è diventato il miglior marcatore di tutti i tempi della storia della NBA. Ma facciamo un passo indietro e torniamo al 7 Febbraio scorso, il giorno in cui è stata scattata questa foto.
Alla Crypto.com Arena quella che si sta svolgendo tra Lakers e OKC non è una partita normale perché tutti gli occhi, del palazzetto e del mondo, sono rivolti al numero 6 gialloviola: con poco più di 30 punti sul tabellino il trentottenne “nativo di Akron” può superare la leggenda Kareem Abdul- Jabbar come miglior marcatore All-time della storia NBA. Mancano 15 secondi alla fine del terzo quarto, James prende palla e tira a canestro: se entra, è record. Il pubblico attende col fiato sospeso il movimento della retina per poi far partire applausi e grida per rendere onore al “prescelto”.
È però interessante notare come nell’istante in cui la palla sta per staccarsi dalle mani del 6 il pubblico è, nella quasi totalità, intento ad immortalare il momento con il cellulare piuttosto che viverlo: solo una persona, in prima fila, sta vivendo il momento storico, che verrà ricordato a lungo nella storia del basket. Quell’uomo è nientemeno che Phil Knight, un anziano signore che più di 50 anni fa fondò la oggi multinazionale NIke, sponsor di James e punto di riferimento globale per quanto riguarda calzature e abbigliamento sportivo. A fine partita incontra LeBron e dopo averlo abbracciato gli dice: “Non me lo sarei mai perso”.
Perchè sì, lui non se l’è perso. Ed è uno dei pochi, se non l’unico, dei quasi ventimila presenti all’arena quella sera. Tutti gli altri, nonostante fisicamente fossero lì, in quell’istante hanno scelto di immortalare il momento piuttosto che viverlo.
Una situazione che sta diventando, al giorno d’oggi, una scena diffusa in tutti gli eventi di sport- spettacolo.
Infatti, se una volta l’assistere ad un evento diventava un’esperienza da raccontare e di cui essere fieri, oggi l’importante è mostrare ad altri in tempo reale, grazie ai social network, di stare assistendo all’evento: che poi si stia effettivamente vivendo il momento non conta quando tutti sanno che tu sei allo stadio e quindi possono invidiarti. Purtroppo i social network hanno plasmato la nostra mente sul voler apparire e non sull’essere. Questo risulta evidente quando, ad esempio, al concerto del cantante preferito, magari dopo ore di attesa sul parterre, la prima cosa che fanno tutti è filmare l’ingresso del cantante. Siamo ormai così abituati a vedere il mondo attraverso uno schermo, che la realtà ci mette quasi a disagio e, per questo, ci sentiamo in dovere di rientrare nella nostra comfort-zone attraverso l’unica arma a nostra disposizione: il cellulare. Ormai gli eventi dal vivo andrebbero definiti “filtrati dallo smartphone”.
Siamo però, a mio modo di vedere, arrivati a un punto di non ritorno: se una persona spende circa 100.000 dollari (questo il prezzo del biglietto in prima fila per la partita del record) per poi vedere il record attraverso lo schermo del proprio cellulare, vuol dire che ormai non siamo più in grado di gustarci nessun momento senza condividerlo.
In poco più di dieci anni i social network sono riusciti a estraniarci completamente, o quasi, dalla vita reale: se oggi è più importante il nostro profilo social della nostra vita reale vuol dire che queste applicazioni hanno plasmato la nostra mente per spingerci a voler condividere tutto con tutti, in modo da farci apparire come se fossimo i migliori del mondo con la conseguente invidia di chi ci guarda.
Il giudizio degli altri e l’apparenza sono diventate le fondamenta delle nuove generazioni, figlie della pandemia e succubi di una tecnologia che non sanno maneggiare e che ha già iniziato a fare i primi danni: se infatti il filmare uno spettacolo è un problema che non ne comporta di più gravi, l’attraversare una strada guardando il cellulare, senza curarsi dell’eventuale arrivo di una macchina, può mettere a rischio la nostra vita.
Ecco perché forse bisognerebbe tornare un po’ indietro nel tempo.
Per essere e non apparire.
Per guardare noi stessi prima degli altri.
Per migliorare noi stessi prima di invidiare gli altri.
Per vivere il momento piuttosto che filmarlo proprio come Phil Knight che, a quasi 85 anni, ha dato alle nuove generazioni una lezione di vita che andrebbe appresa ed applicata.
Per tornare a vivere e smettere di immortalare.
Lorenzo M. , 5I

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