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Probabilmente tutti noi abbiamo sentito parlare almeno una volta del parkour, lo sport estremo praticato nei luoghi della nostra città più improbabili e pericolosi da persone che sembrano voler rischiare la propria vita per divertimento. Pochi di noi, però, hanno avuto la possibilità di provarlo e di sperimentare in che cosa esso consista davvero.

Il parkour: una rivoluzione dell’ora di ginnastica  

Probabilmente tutti noi abbiamo sentito parlare almeno una volta del parkour, lo sport estremo praticato nei luoghi della nostra città più improbabili e pericolosi da persone che sembrano voler rischiare la propria vita per divertimento. Pochi di noi, però, hanno avuto la possibilità di provarlo e di sperimentare in che cosa esso consista davvero.

Il parkour è ancora poco conosciuto, è considerato “alternativo” ed è praticato solo da un gruppo ristretto di persone, che spesso si distinguono dalle altre per idee e modo di pensare. Il termine con cui viene chiamato è molto conosciuto, ma spesso viene utilizzato impropriamente.

Esso, infatti, non è semplicemente uno sport acrobatico molto rischioso, ma è una vera e propria forma d’arte (per questo tale disciplina è anche chiamata “arte dello spostamento”) e da alcuni è considerato una filosofia di vita.

Che cos’è veramente, quindi, il parkour? Il termine deriva dal termine francese parcours du combattant, che tradotto significa “percorso del combattente”. I primi rudimenti di questo tipo di attività fisica sono infatti rintracciabili negli allenamenti che l’ufficiale della marina francese Georges Hébert utilizzava per preparare le sue truppe. La filosofia dietro il parkour prende infatti spunto dall’Hebertismo, una corrente di pensiero creata proprio da Hebert nei suoi anni di servizio, che ha per motto la frase “essere forti per essere utili” e stabilisce dieci categorie dell’esercizio fisico che l’uomo dovrebbe padroneggiare.

Il parkour ha poi avuto negli anni Novanta una larga diffusione in Francia e in tutto il resto d’Europa grazie a David Belle, il vero e proprio fondatore della disciplina e del termine con cui essa viene chiamata. Belle era figlio di un pompiere addestrato con il metodo di Hébert ed ebbe così la possibilità di apprenderlo e sperimentarlo fin da giovane.

Lo scopo di questa disciplina è quello di percorrere dei tracciati ad ostacoli nel più semplice e breve modo possibile, compiendo acrobazie per adattare il proprio corpo all’ambiente circostante, e le persone che la praticano vengono chiamate tracciatori o tracciatrici. Una delle particolarità di questo sport è che non richiede un luogo preciso per essere praticato: mentre per attività come il calcio o l’atletica sono necessarie delle specifiche aree di gioco, è possibile vedere chi pratica il parkour allenarsi in tutti i luoghi della città, dai parchi pubblici ai marciapiedi. La sua apparente semplicità è però, come detto, ingannevole. Tra le abilità maggiormente richieste infatti vi sono uno straordinario equilibrio e una grande forza mentale, più che fisica. Il segreto del parkour, come affermano i migliori tracciatori, è quello di sapersi lasciare andare e di raggiungere la completa calma e stabilità prima di affrontare anche i percorsi che inizialmente potrebbero sembrare pericolosi.

In Italia ha avuto una diffusione rapida tra i giovani quanto lenta e faticosa tra le istituzioni sportive, che hanno impiegato anni a riconoscerlo come ufficiale: il Coni, per esempio, lo ha fatto soltanto nel 2006.

Tra gennaio e febbraio 2019 alcune classi del Cattaneo hanno avuto la possibilità di praticare quest’attività nell’ora di educazione fisica. Per gli studenti è stata un’occasione per venire in contatto con uno sport e soprattutto con una cultura che probabilmente non conoscevano, potendo apprendere da professionisti tutte le tecniche e le mosse per realizzare dei veri e propri spettacoli acrobatici e artistici, affascinanti da vedere.

Gli allenamenti di riscaldamento sono stati insoliti ed estremamente più faticosi di quello a cui i ragazzi sono abituati durante l’ora di ginnastica, ma sono serviti a prepararli adeguatamente ad alcune mosse del parkour che non avevano mai provato prima.

Alcuni degli alunni erano inizialmente restii a cimentarsi in salti e acrobazie che credevano pericolosi, ma in poco tempo hanno preso dimestichezza e coraggio e hanno attraversato gli ostacoli con agilità e compiendo acrobazie come prima avevano soltanto visto fare.

Ecco alcune delle tante mosse di cui questi tracciati richiedevano padronanza:

-il Lazy Vault, lo scavalcamento di un muro basso con il solo ausilio di un braccio e dello slancio delle gambe;

-il Precision, un salto a gambe unite da una superficie stretta a un’altra;

-lo Speed Run, simile al Lazy Vault ma compiuto in corsa;

-il King Kong Vault, il superamento di un ostacolo basso e lungo senza che i piedi tocchino sulla superficie di quest’ultimo;

-il Tic Tac, un salto compiuto appoggiando un piede su una superficie verticale

Inizialmente i ragazzi erano spaventati nel vedere con quanta agilità i loro istruttori compivano tali acrobazie, ma al termine delle tre lezioni sono diventati molto abili e le eseguivano come dei veri e propri aspiranti tracciatori.

In definitiva, l’esperienza è stata innovativa perché ha apportato una novità alle solite attività che normalmente si affrontano nell’ora di scienze motorie.

Gli studenti, quindi, hanno avuto la possibilità di cimentarsi in una disciplina di cui prima non si credevano capaci e, in molti casi, di scoprire un talento e un coraggio che non pensavano di avere. Inoltre, questo percorso ha dato l’occasione di apprendere non soltanto una disciplina, ma anche una cultura per quasi tutti completamente nuova, che molto probabilmente ha ispirato i più interessati e ha dato loro lo spunto per continuare questa attività.

Luca 3S

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