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FIERO DI ESSERE EBREO

Da qualche tempo avevo intenzione di condividere con i lettori un interessantissimo spunto di riflessione su una famosa opera della letteratura concentrazionaria, “Se questo è un uomo” di Primo Levi. Il libro, pubblicato dalla casa editrice De Silva nel 1947, come in molti sapranno, racconta l’esperienza vissuta dallo stesso autore nel lager nazista di Monowitz, satellite del complesso di Auschwitz e sede della fabbrica chimica Buna-Werke (da Levi chiamata semplicemente “Buna”).

L’opera, caratterizzata da numerose pagine dedicate ai pensieri del Levi prigioniero e da un’agghiacciante visione nichilista della vita nel campo, è introdotta da un breve componimento in versi. In queste poche righe Levi alla maniera dantesca – i riferimenti alla Divina Commedia compaiono anche in altri capitoli del libro –, anticipa l’inferno vissuto nei campi di concentramento, maledicendo chi dimentica ciò che vi è successo e giudicandolo complice di questa e di altre tragedie simili. Nella poesia l’autore si esprime con termini molto forti e violenti, rivolti direttamente ai lettori, che ovviamente non possono però essere identificati con i carnefici dello sterminio. Il significato letterale di questi versi è dunque chiaro e distinto, ma non è il solo: P. Levi vuole infatti comunicare ai lettori un altro messaggio, questa volta più velato e sottile, che fa luce sul reale senso dei versi. Perciò, oltre al monito per le future generazioni affinché simili barbarie non si ripetano più, tra le righe spunta anche un sentimento di orgoglio, vergognosamente calpestato durante il tempo trascorso nel lager.

A suggerire questo spunto di riflessione sulla poesia è lo scrittore e attore Roberto Mercadini, che dal 2009 cura un canale divulgativo su YouTube. Stimo molto quest’uomo dalla lunga barba, perché grazie alla sua profonda conoscenza del sapere letterario e filosofico, ogniqualvolta ascolto un suo video rimango poi profondamente colpito e ispirato. In uno dei suoi video, Mercadini offre un’inedita chiave di lettura, analizzando alcuni versi della poesia di Levi, che viene qui riportata nella sua interezza.

 

 

Voi che vivete sicuri

nelle vostre tiepide case,

voi che trovate tornando a sera

il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomo

che lavora nel fango

che non conosce pace

che lotta per mezzo pane

che muore per un sì o per un no.

Considerate se questa è una donna,

senza capelli e senza nome

senza più forza di ricordare

vuoti gli occhi e freddo il grembo

come una rana d’inverno.

Meditate che questo è stato:

vi comando queste parole.

Scolpitele nel vostro cuore

stando in casa andando per via,

coricandovi, alzandovi.

Ripetetele ai vostri figli.

O vi si sfaccia la casa,

la malattia vi impedisca

i vostri nati torcano il viso da voi.

 

 

In apertura, Mercadini precisa che il titolo della poesia varia da edizione a edizione. In alcune, ad esempio, è “Shemà”, in altre l’equivalente italiano “Ascolta”, titolo di una delle più importanti preghiere ebraiche. Così come questa preghiera assurge al ruolo di inno dell’ebraismo, la poesia di Levi ha la funzione di introdurre la sua opera.

 

Ai versi 18 e 19 Levi, anche grazie all’utilizzo del gerundio che dona continuità alle azioni, indica la totalità delle stesse mediante il merismo “stando in casa, andando per via […] coricandovi, alzandovi”. Il merismo è una figura retorica presente nell’Antico Testamento che consiste nell’esprimere la totalità di qualcosa citandone due parti estreme e contrapposte; ne sono due esempi “l’albero della conoscenza del bene e del male” e “In principio Dio creò il cielo e la terra”.

Ricorre nelle Sacre Scritture anche l’uso della maledizione. “O vi si sfaccia la casa,/ la malattia vi impedisca,/ i vostri nati torcano il viso da voi” sono espressioni stilistiche che imitano quelle dell’ Antico Testamento. A questo proposito, Mercadini cita il passo tratto del Deuteronomio, 28, 15-19, in cui compaiono maledizioni e merismi.

 

Dopo essersi soffermato su questa analisi, Mercadini approfondisce il significato dei versi di questa poesia.

Primo Levi, da laico, scrive un testo che sprigiona ebraicità e imita le figure stilistiche delle Scritture per mostrare ai nazisti e al mondo intero di essere orgoglioso della sua identità. Dunque, nonostante le violenze, nonostante le torture e nonostante gli insulti, l’autore non rinnega la propria identità e, con un atteggiamento provocatorio, la sbatte in faccia ai suoi carnefici.

“Se questo è un uomo” inizia così, con questo proclama dell’ebraicità di Levi, la cui rivendicazione sostanzialmente scompare nel resto del libro, in cui si presenta come un uomo di cultura laico ed italiano. Con la poesia, perciò, non solo introduce il messaggio del libro, ma ricorda ai lettori di essere ebreo.

 

Leggere “Se questo è un Uomo” è una delle esperienze che più si avvicinano a quella di una  visita reale ai campi di sterminio – che a mio parere dovrebbe essere d’obbligo in ogni liceo –. Il libro racconta dettagliatamente non solo gli orrori compiuti, ma anche le emozioni e le sensazioni di un prigioniero che ha perso la fiducia nei confronti dell’umanità e che non distingue più i colori, il rosso dal blu, il giallo dal verde, il bianco dal nero, ma vede tutto di un tristissimo color grigio. Quello che però serve per comprendere la grandezza di quest’opera e del suo autore è la fierezza con cui egli compone la poesia d’apertura, che Mercadini ha saputo raccontare e analizzare con così tanta efficacia.

Buona Memoria.

Lorenzo, 4I

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