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1° maggio: l’ “Arancia meccanica” del 2015

“Decidemmo che era ora di eseguire il nostro numero “visita a sorpresa”: un po’ di vita, qualche risata e una scorpacciata di ultraviolenza”. Così declamava Alexander De Large, protagonista del capolavoro di Stanley Kubrick “Arancia meccanica”, prima di irrompere in casa di un uomo qualunque e stuprare la moglie del malcapitato davanti ai suoi occhi. Questa crudeltà priva di obiettivo suscita orrore e disgusto; è percepita da chiunque come lontana: lo scenario inquietante dipinto dal regista statunitense sembra non appartenerci. Ma in seguito ai disordini scatenatisi il 1 maggio a Milano si può capire come quel futuro di Kubrick si stia avvicinando e penda sopra la nostra testa come una spada di Damocle.

Nella pellicola del celebre regista l’ultraviolenza era impersonata da Alexander, il quale poteva coglierne l’essenza: gli eventi di Milano si possono invece riassumere nell’intervista di un giovane manifestante che si è presentato davanti alle telecamere con giubbotto e cappuccio, “armato” di ignoranza e prepotenza. Le sue dichiarazioni sono sconcertanti: è chiaro che il ragazzo non ha la minima idea del perché stia protestando. Lui vuole solo “spaccare tutto”. Un hobby come un altro, se non fosse per la distruzione di una banca, di molte vetrine e per l’incendio di diverse auto.

Violenza fine a se stessa, solo per divertimento: è questo che accomuna molti manifestanti ad Alexander e i drughi di “Arancia meccanica”. Kubrick cercava le radici di tutto questo anche in una mancata educazione da parte dei genitori, fattore predominante nella diffusione odierna del vandalismo: il regista nel 1971 aveva visto quarant’anni in avanti. Sarebbero necessarie più madri come quella che a Baltimora si è presentata davanti al figlio, che protestava violentemente con altri facinorosi, per una bella tirata d’orecchie con conseguente umiliazione pubblica.

Alexander assumeva la sua dose quotidiana di ultraviolenza, indossando un costume bianco e canticchiando le opere del suo amato Ludovico (Ludwig van Beethoven): un candido Black Bloc, che sostituisce il fragore di vetrine in frantumi con il dolce suono della nona sinfonia. L’aspetto è diverso, ma la sostanza è la stessa.

La libertà di manifestare è sacrosanta, ma scendere in piazza per far valere i propri diritti non deve diventare un pretesto per inebriarsi di violenza. Anche perché in questo modo si ottiene l’effetto contrario a quello per cui si sta manifestando. Osservando le strade devastate, le auto incenerite e le decine di feriti viene naturale chiedersi se stiamo assistendo al diffondersi incombente di un numero sempre maggiore di Alexander De Large del 2015.

                                                                                                                                                                               Carlo Patrone

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