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Un’arte che nasce da un mattoncino

 Un gioco non può diventare un lavoro?  Per ricredersi basta vedere la mostra di Nathan Sawaya “The art of the brick” realizzata interamente con i LEGO. Questo artista, prima di diventare uno scultore dei famosi mattoncini, era avvocato; la decisione di lasciare il suo lavoro è maturata soprattutto a causa dello stress: adesso che costruisce statue in LEGO  è decisamente più felice di prima. La scelta di questo strano “materiale” viene dal fatto che da bambino era innamorato di questi mattoncini e non li ha mai abbandonati e adesso spera di ispirare altri bambini a creare con la fantasia, a non usare solo giochi elettronici. La mostra, che attualmente è a Milano, è ambientata e spiegata molto bene. Si inizia con una sala con statue di vario tipo, non accomunate da nulla di particolare, ci sono ad esempio una matitona, i pianeti incolonnati uno sull’ altro e anche una sua statua che posiziona sempre nelle mostre: un uomo blu a grandezza naturale seduto su una poltrona con a fianco un’altra poltrona vuota dove ci si può sedere per farsi delle foto. Subito dopo si trova una statua molto bella e significativa: un uomo tutto giallo, colore originale LEGO, nell’atto di aprirsi il petto, da cui escono altri pezzi gialli buttati alla rinfusa, con le mani. Può avere diversi significati, ma per l’autore rappresenta un periodo in cui non si controllava più, durante il quale il lavoro era diventato una specie di terapia per lui. Da qui si apre un grande spazio con riproduzioni quasi tutte a grandezza naturale di opere famose. Si parte da un graffito preistorico, poi ci sono statue dell’Antica Grecia, quadri tipici degli USA, la Gioconda, un dettaglio di un affresco di Michelangelo e tante altre. Tutte le opere che non erano statue sono state realizzate scegliendo tra tre diversi metodi:  il primo usato, ad esempio per l’ urlo di Munch, consiste nello staccare i personaggi principali dallo sfondo e realizzarli come statue, per dare un’idea di profondità; il secondo, adattato all’ onda di Kanagawa sempre per dare più profondità, è un quadro fatto usando più strati sovrapposti uno sull’ altro o anche solo dei pezzi rialzati in modo apparentemente casuale; l’ ultimo metodo, il più semplice, usa soltanto uno strato, i pezzi sono attaccati tutti su uno stesso piano. Le sale successive hanno come soggetto l’uomo in tante sue sfaccettature. Tre uomini con le facce di tre forme e di tre colori diversi rappresentano le diversità di pensiero di ognuno, un uomo grigio che sta aprendo un muro grigio per uscirne può indicare una persona che vuole uscire dagli schemi della società di oggi; un uomo rosso che cerca di camminare ma è bloccato da tante mani grigie può avere lo stesso significato e un uomo che si sta sollevando da terra inarcato all’ indietro cosa può voler dire? Ci sono poi proseguendo due opere senza un contesto particolare: un nuotatore di cui si vede solo la parte fuori dall’ “acqua” e un enorme scheletro di T-rex composto da circa 80’000 mattoncini. L’ ultima parte della mostra è un esperimento geniale che unisce fotografia, tecnologia moderna e ovviamente le statue di LEGO. Nathan ha costruito ad esempio un pezzo di rotaia, un fotografo ha scattato la foto a una stazione abbandonata e con un programma per computer la rotaia di LEGO è stata trasportata nella foto al posto della rotaia originale; l’ultima di queste foto modificate rappresenta un vestito rosso con pieghe e svolazzi che lo fanno sembrare reale e pezzi di LEGO che si staccano dal fondo dell’abito per poi fluttuargli intorno. Concludendo, suggerirei come ha fatto Nathan nella sua presentazione della mostra, a chiunque, giovani e non, di farsi rapire dal fascino di questi mattoncini e godersi questo meraviglioso tuffo nell’infanzia; non ne resterete delusi.

Alessia Ialeggio 2L

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