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NELLA CITTA’ DELLA GUINNESS 

Quando pensavo all’Irlanda pensavo ai folletti. C’è chi pensa alla birra, e non lo biasimo. O al giorno di San Patrizio. Ma è bastata una piccola immersione nella città europea con maggior numero di under trenta per capire meglio cosa nascondesse la città della Guinness e della fortuna. “Almeno una volta ogni anno, andate in un posto in cui non siete mai stati prima”, ha detto il Dalai Lama.   E così ci siamo ritrovati su un aereo ben spennellato di verde, in perfetto stile irlandese, con destinazione Dublino; pronti ad affrontare la città a colpi di ombrello, impermeabile e “Hi guys!” con gli occhi fissi sullo Spire, l’enorme “spillo” (di 121 metri) senza alcun significato, che però impedisce a chiunque di perdersi. Adattarsi al cambiamento è relativamente semplice se lo si vuole fare, e complici sono gli orari rilassati degli irlandesi. La cena a metà pomeriggio, i bus a due piani, la colazione bacon e salsiccia, e una distesa di villette a schiera sotto un cielo costantemente grigio e un vento prepotente: Dublino è stile di vita londinese impiantato in un patriottico quartiere americano.  Con un pizzico di civiltà in più e un accento quasi ugualmente incomprensibile. Trascorrere il soggiorno-studio in famiglia permette di vivere la vita di un irlandese dall’interno, osservare le abitudini e soprattutto adattarsi in fretta. Anche alla convivenza forzata con sconosciuti che, per quanto accoglienti, rimangono tali. Basta non vergognarsi troppo, essere abbastanza confident e non avere troppe pretese. Tanto, per il buon caffè, c’è sempre Starbucks. E per farsi capire rimangono i buoni vecchi gesti, nel caso la “balbuzie dello straniero” non accenni ad andar via. Se il gruppo è una sicurezza, lo spostarsi singolarmente prevede un po’ di coraggio, responsabilità e nient’altro che capacità di stare al mondo. Tutto in regola e prevedibile trovarsi in un punto sconosciuto della città a chiedere aiuto al primo ciclista, rigorosamente con giubbino catarifrangente e caschetto; l’importante è riuscire a ritrovare in tempo la strada verso il bus, ignoto il dove scendere: e quindi prepararsi ogni sera ad aguzzare la vista, per capire se quella era la “nostra” casa o forse aveva la porta rossa anziché blu. Nulla di grave, ma è dura poter dire di essersi rilassati. Insomma, un piccolo sforzo che ci ha fatti crescere, in un’esperienza destinata a rimanere impressa nonostante tensioni, smarrimenti, e qualche “Thank you” di troppo. Da rifare.

Claudia 3E

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