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PER SEMPRE RAFA NADAL

Un evento degno di rientrare nel novero di quei fatti storici e inspiegabili. Alla Rod Laver accade l’impossibile, l’impensabile, l’inimmaginabile. Tutto sfocia nell’ultraterreno o nel metafisico, a tal punto da chiedersi se esista un’entità superiore che abbia voluto la miglior conclusione pensabile per questo Slam. Logiche e sensate risposte d’altronde non sarebbero considerabili e credibili di fronte allo spettacolo andato in scena pochi giorni fa a Melbourne. Credo che nessuno possa spiegare con parole proprie il Trionfo di Nadal. C’è un perché, una ragione che sfugge all’umana comprensione. L’incredulità di Rafa dopo il punto della vittoria si tramuta in una travolgente onda emotiva, frantuma lo schermo di vetro che lo separa da milioni di spettatori sbalorditi e ne invade le case, rende Medvedev microscopico e scalda i cuori di tutti gli sportivi del mondo. Il ventunesimo Slam del maiorchino, record maschile, è una grandissima lezione per chi vuole arrendersi, per chi pensa che sia finita, per chi non mette mai in discussione se stesso e per chi si accontenta, ma alla fine “gode, così così. Quello di Rafa è un successo che condensa in cinque ore e ventiquattro minuti di gioco ben sei interminabili mesi di dubbi, di angoscia, di fatica e di dolore, vissuti appieno. Sono stati sei mesi durante i quali non ha mai perso la sua grande ragione di vita, come sempre alla base della formazione di un vero campione, nemmeno quando per lo stop post-operatorio (per il suo solito problema al piede) ha dovuto dire no a Wimbledon, agli US Open e alle Finals di Torino, sacrificando addirittura la tanto attesa Tokyo. Sono stati mesi in cui non ha mai smesso di lottare, anche di fronte alle incombenti tenebre del ritiro. Buio. Molti pensavano che non sarebbe riuscito a ritrovare la luce, in tanti credevano che avrebbe detto “basta”, e invece con la Norman Brooks tra le mani, di nuovo dopo tredici anni, ha dichiarato: “Esistono giornate più luminose, e questa è una di quelle. Io combatto per continuare a vivere”. Quando ci dicono che lo sport è vita…

E  Medvedev?

C’è stato un unico errore di Daniil, l’unico “perché” di questo vero e proprio “suicidio sportivo”: l’improvvisa, ma forse preparata e strategica frenata in avvio del terzo set, probabilmente per non rischiare di stancarsi eccessivamente. È costato tre palle break assolutamente sprecate e il successivo servizio strappatogli dallo spagnolo, diventati punti cruciali per la svolta del match. È passato dai ritmi forsennati della prima parte della gara, in cui ha commesso pochissimi errori, a un totale stato di confusione, sciupando così i due set di vantaggio e spalancando a Nadal le porte della rimonta. La testa ha fatto la differenza anche nel quinto: da una parte l’incubo negli occhi del russo, dall’altra un uomo di undici anni più vecchio che non tradisce un solo segno di stanchezza, come se per quattro ore non avesse mai corso. Questo è, forse, l’unico “come” del 2-6 6-7 6-4 6-4 7-5 finale, ma non esiste parola che spieghi il “perché”. Dunque, torniamo indietro, torniamo a ciò che ci sfugge. Torniamo a parlare di metafisico. Torniamo a parlare dell’eterno Rafael Nadal.

Lorenzo,4I

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