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OLIMPIADI DI FILOSOFIA 2016

Terza edizione delle Olimpiadi di Filosofia per il Cattaneo; anche quest’anno abbiamo pensato di proporvi i temi vincitori della selezione di istituto, eletti dai docenti De Cristofaro, Venesio e Riva. Per la sezione internazionale si sono classificati invece Gabriele Cassetta e Francesca Caivano. Buona lettura!

AMBITO GNOSEOLOGICO

“Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce”. Un’affermazione così breve e così gravosa, così densa di significato da sembrare quasi effimera. Pascal pone un freno al secolo della scienza sporgendosi in avanti con l’anima, ricordando a tutte le invenzioni e scoperte che gli esperimenti sulle emozioni sono futili e fallimentari.

Il Seicento rappresenta l’esordio della ragione, che precede l’Illuminismo e inizia a tracciarne i caratteri fondamentali: al centro però vi è la scienza più che la ragione, nonostante questa differenza sia labile, poiché senza ragione non è possibile attuare nessun procedimento scientifico che oltrepassi l’osservazione di un fenomeno.

Per analizzare gli eventi la scienza designa passaggi precisi, che si iniziano a stabilire proprio nel secolo sopracitato grazie all’affermazione del metodo scientifico di Galilei e alle scoperte sulle leggi che governano l’universo compiute in quegli anni dai cosiddetti “eretici”, coloro che osarono tentare di spiegare razionalmente ciò che con religione e leggenda sembrava fosse già sufficientemente chiaro. Agli occhi del ventunesimo secolo appare evidente che i miti non siano abbastanza per spiegare la realtà, e i personaggi che hanno lottato per la verità scientifica appaino quasi come eroi, come colore che hanno salvato l’umanità futura da spiegazioni imprecise, considerate perfino sacre, per lasciare spazio all’evidenza.

I meriti della scienza sono perciò innegabili, così come i progressi in campo medico che hanno permesso di salvare innumerevoli vite, le spiegazioni su ciò che ci circonda, sulla posizione di stelle, pianeti e satelliti che spiegano come assorbire energia, come viaggiare sulla luna. Si potrebbero definire quasi incredibili e sorprendenti, ma non sono che la mera natura di tutte le cose. Con ciò non si vuole sminuire l’importanza della tecnica e della scienza, anzi, ma si vuole sottolineare il suo unico grande limite: la scienza è relegata alle cose. Credo che i limiti stessi siano proprio delle cose poiché in qualsiasi ambito, oggetto, argomento e situazione, per quanti “pro” ci possano essere, per tutti gli aspetti positivi, ci sarà sempre almeno un “contro”, legato alla natura propria del fenomeno o all’interpretazione che l’uomo ha di esso.

Anche la scienza, infatti, si vede riconoscere i suoi limiti in primis da Pascal, quasi contemporaneo al momento culmine del sapere scientifico seicentesco, il quale si rende conto che per quanto la scienza interessi l’uomo, essa non è in grado di fornirgli risposte per ciò che concerne la natura più intima di quest’ultimo.

Si può ammettere che il potere della scienza non sia sconfinato ma vastissimo, e che al giorno d’oggi permetta di fare cose impensabili anche solo rispetto al passato più recente, ma, come il francese Blaise affermava, la conoscenza scientifica non può spiegare all’uomo ciò che egli non capisce di se stesso e che gli attanaglia l’anima.

I dubbi più grandi, le questioni irrisolte che pervadono il pensiero umano da sempre non possono essere analizzati scientificamente, tecnicamente o meccanicamente. Essi sono insiti nella natura umana, al di là di ogni dimostrazione, atemporali e perciò eterni, paragonabili ai giovani innamorati di Prévert che “[…] sono altrove, molto più lontano della notte, molto più in alto del giorno […]”, impossibili da analizzare.

È innegabile che l’uomo abbia provato a farlo e continui a farlo cercando con la psicologia di studiare, per l’appunto, la psiche, l’anima umana; tuttavia non credo che potrà mai stabilire una regola, una legge o un teorema per definire le emozioni, gli stati d’animo, per rispondere agli interrogativi sulla morte e su ciò che si prova nella stessa vita. La scienza è limitata come ogni cosa nota all’uomo, sebbene l’uomo non sia noto nemmeno a se stesso.

Nonostante ciò io credo che ci sia un risvolto positivo, poiché se tutto fosse comprensibile e trasmissibile non ci sarebbe più nessun interesse nella vita, nessuna spinta a vedere cosa attende l’uomo. Tutte le passioni sarebbero soggette a teoremi derivati da improbabili postulati, forse di dubbia verità, anche i sentimenti più violenti dovrebbero sottostare a formule precise, dettate dai “sapienti”. Ciò che ne deriverebbe sarebbe solo l’inutilità della vita stessa, con il motore della curiosità annientato da ogni imposizione scientifica. L’unico risultato possibile è già stato descritto da Orwell in “1984”, non saremmo altro che automi governati da tutto ciò che non fa parte della natura umana. Nessuna libertà, nessuna volontà. Ed è ovvio che la domanda sorga spontanea: quale sarebbe, a quel punto, lo scopo della vita?

Non è facile individuarlo nemmeno in questa sorta di libertà dell’anima dalla scienza, ma se questa dovesse essere sottomessa a leggi puramente meccaniche sarebbe impossibile.

La scienza credo sia quindi sicuramente in grado di aiutare l’uomo, ma non penso che, anche volendo, riuscirebbe a risolvere i dubbi esistenziali più grandi della razza umana a causa delle eccezioni, delle passioni più travolgenti, dei sentimenti, perfino dell’inconscio.

Pertanto la scienza è certamente un bene da valorizzare, ma da non sopravvalutare, poiché natura umana e cuore governano le relazioni umane e la vita, e come affermava Pascal, la ragione non può indagare a fondo sulle scelte operate dalla nostra parte più sensibile.

Claudia De Medio

AMBITO ESTETICO

Fin dall’antichità l’arte è una rappresentazione del mondo come è o come dovrebbe essere secondo l’artista. L’arte rupestre infatti aveva lo scopo di far accadere qualcosa, di plasmare la realtà propiziando l’aiuto degli dei nella caccia e nell’agricoltura. Dalla perfezione stilistica dell’arte greca al senso dell’infinito di Turner, passando per il formalismo di Michelangelo e l’oscurità di Caravaggio, l’arte ha sempre riflesso le aspirazioni degli artisti, e quindi quelle del loro tempo; lo stesso vale per la scrittura: i personaggi di Pavese, infatti, incarnano desideri e timori di un’intera generazione.

L’invenzione della fotografia ha chiaramente destato scalpore, in quanto ha conformato, almeno per un secolo, qualsiasi ambizione estetica. Infatti la fotografia è l’arte che ha il potere di concentrarsi sull’oggetto eliminando completamente la coscienza del soggetto (l’artista).

Ma come può il fotografo rappresentare la sua visione del mondo agendo solo sull’oggetto ma non sul modo di ritrarlo? Questo aspetto per molto tempo ha costituito il limite ma anche la forza della fotografia: se da un lato obbliga l’artista a introdurre dettagli  e particolari irrilevanti, e impone un’estetica ineludibile (quella della realtà come è), dall’altro pone fine all’ossessione che in più epoche ha sconvolto il mondo dell’arte: trovare la bellezza nella sua essenza ( la realtà) e, in altre parole, mostrare l’oggetto come è. Questo risultato coincide cronologicamente con l’incarnazione della possibilità di studiare scientificamente il reale, fulcro dello spirito positivista.

Tuttavia, la forza con cui la fotografia si è introdotta nel mondo ha dato origine a una rivoluzione senza pari: la morte della pittura convenzionale, quella che a lungo aveva cercato di rappresentare la realtà acriticamente, e che con gli impressionisti ha esalato i suoi ultimi respiri. Ma non tutti si sono spaventati di fronte all’innovazione: già il poeta Arthur Rimbaud aveva profetizzato la morte dell’arte.

Nonostante ciò gli artisti sono riusciti a scavalcare l’ostacolo, distruggendo nei loro quadri la realtà oggettiva rappresentata dalla fotografia. Non c’è più spazio per l’imitazione, ogni artista deve frammentare la realtà in modo completamente innovativo: c’è posto per un solo Picasso, per un solo Magritte, un solo Warhol. Se vuole sopravvivere, la pittura deve diventare concettuale.

Allora anche la fotografia è stata costretta ad evolversi da un punto di vista estetico ma anche tecnologico: oggi, ogni fotografo deve individuare un campo d’azione che gli è proprio, nel quale possa trasmettere la sua concezione della realtà con un uso sapiente della tecnica fotografica. Se si aggiungono anche le migliorie tecnologiche raggiunte nel Novecento, è possibile rappresentare uno stesso oggetto in modi completamente opposti. L’avvento di internet, inoltre, permette di modificare fotografie già scattate, aumentando le possibilità di personalizzazione dell’arte.

A lungo i fotografi si sono scontrati con chi sostiene che le loro opere siano prive di elaborazione stilistica, e che manchi un taglio personale in grado di riconoscere l’autore. Dunque? Dobbiamo ricordare che l’arte non è una gara di virtuosismo, ma un mezzo per veicolare un concetto; anche ammettendo che il compito del fotografo sia più semplice, questo non implica una diminuzione del valore concettuale dell’opera.

In realtà, lo stesso fenomeno ha avuto luogo in pittura: Picasso, per comunicare il suo messaggio, ha dovuto imparare “a dipingere come un bambino”.

La fotografia, dunque, si inserisce a pieno titolo nel novero delle arti, diventando l’arte dell’oggetto, ovvero la disciplina che permette di veicolare un messaggio nel modo più limpido possibile, eliminando l’io dell’artista, che in pittura è sempre stato costretto a confrontarsi con la propria percezione estetica e con la propria abilità.

Stefano Damato

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