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GIOVANNI FALCONE: UN MAGISTRATO CHE VOLEVA FARE L’INGEGNERE

Era il 18 Maggio 1939. In una casa di via Castrofilippo a Palermo una colomba apparve alla vista di Arturo, il papà, Luisa, la mamma, Anna e Maria, le due sorelle: era nato il terzogenito della famiglia, Giovanni. La casa si trovava a pochi passi dalla chiesa della Santissima Trinità, al centro del quartiere della Kalsa, dove durante la dominazione islamica c’era la cittadella fortificata dell’emiro. Tuttavia, nel quartiere e in quella casa non resterà molto: la guerra era imminente e ,dopo appena un anno, il piccolo Giovanni si trasferì a Sferracavallo, di lì a Corleone nel maggio ‘43 per poi tornare a Palermo dopo l’armistizio di Cassibile. I bombardamenti , però, danneggiarono l’abitazione di via Castrofilippo e la famiglia fu costretta a trasferirsi dalle zie di Giovanni, Stefania e Carmela. Queste, che per il futuro giudice sono più delle nonne che delle zie, contribuirono in modo determinante alla crescita fisica e culturale del piccolo Giovanni che iniziò ad assomigliare sempre di più al padre Arturo. La sorella Maria raccontò che ,sfogliando un volume della libreria del padre, Giovanni si sia imbattuto in un libro su Zorro, personaggio che ,per via delle  gesta eroiche, attirò subito la sua attenzione, tanto da strappare  un pezzo della tappezzeria di raso per farsi un costume simile al personaggio mascherato, suscitando le ire di mamma Luisa.

Giovanni ,fin da piccolo, sentì parlare di eroi e di patria: i suoi zii Giuseppe e Salvatore, rispettivamente fratelli del padre e della madre, si arruolarono nell’esercito regio per la seconda guerra mondiale e perirono entrambi. Lo zio Giuseppe morì mentre era alla guida del suo aereo (aveva 24 anni ed era capitano nell’aviazione), lo zio Salvatore, invece,  colpito da una granata dopo aver falsificato il proprio certificato di nascita per entrare nell’esercito, visto che era minorenne. In memoria di quest’ultimo, la madre di Giovanni decise di dargli il suo nome. Con questi esempi ,Giovanni Salvatore frequentò le scuole elementari al Convitto Nazionale e le scuole medie all’Istituto Verga: a dodici anni era già autonomo e iniziò a frequentare l’oratorio, facendo la spola tra le parrocchie di Santa Teresa e di San Francesco. In uno dei tanti pomeriggi trascorsi in oratorio a giocare a calcio,  conobbe l’uomo destinato a diventare uno dei suoi migliori amici, Paolo Borsellino,  più piccolo di lui di un anno.  Una curiosità: il giorno in cui si sono conosciuti giocavano una partita e Borsellino era nella squadra avversaria rispetto a quella di Giovanni. Sempre in oratorio, giocando a ping pong, conobbe un suo coetaneo che sarebbe diventato il futuro re della Kalsa: il trafficante e contrabbandiere Tommaso Spadaro.

In quel quartiere c’erano tanti ragazzi come Tommaso, tra cui proprio un altro Tommaso, che Giovanni non conobbe direttamente ma che interrogherà in futuro: quel Buscetta che passerà alla storia come il boss dei due mondi.

Divenuto adolescente, Giovanni  si iscrisse al Liceo classico Umberto I, dove conoscerà il professore illuminato Franco Salvo, fondamentale nella sua formazione. Correva l’anno 1957, Giovanni concluse il Liceo con il massimo dei voti e decise che “da grande” avrebbe fatto l’ingegnere. Una sera comunicò ai  genitori questa scelta, manifestando anche la volontà di trasferirsi a Livorno per iscriversi all’Accademia navale. Arturo e Luisa lo assecondarono -pur non condividendo a pieno la sua scelta- e Giovanni partì per quella Toscana lontana più di mille chilometri da casa sua.

Un giorno comunicò ai genitori che gli avevano chiesto di entrare allo Stato Maggiore ( reputandolo abile a comandare): papà Arturo non fu contento della scelta, credendo non fosse la strada giusta per suo figlio. Giovanni, dopo un’attenta riflessione, ritornò a casa per iscriversi alla facoltà di Giurisprudenza.

Era il periodo del “sacco di Palermo” e la sua casa di Giovanni rischiava -vista la volontà dell’assessore comunale Vito Ciancimino di rimodernare la città- di essere demolita: solo l’opposizione del Cardinal Ruffini riuscì a salvare la Kalsa e in particolare la chiesa della Santissima Trinità. Nonostante gli sforzi del Cardinale la famiglia si spostò  in via Notarbartolo.

Nel 1961  Giovanni si laureò con 110 e lode in Giurisprudenza e l’anno seguente conobbe a una festa  Rita Bonnici, 5 anni più piccola di lui, mora e con grandi occhi scuri: per il  futuro magistrato fu amore a prima vista. Nel 1964 superò il concorso entrando ufficialmente in magistratura. Poco dopo sposò Rita, nella chiesa della  Santissima Trinità, la “sua” chiesa in piena Kalsa.

L’anno seguente divenne pretore a Lentini  iniziando a lavorare ai primi casi. Ma solo nel 1966 iniziò a fare sul serio: da quell’anno e per dodici anni di fila, Giovanni fu giudice istruttore e sostituto procuratore al tribunale di Trapani. Nel 1967 ebbe il primo processo mafioso della sua vita contro Mariano Licari, boss di Marsala.  Dal 1969 iniziò per Falcone  un lento cambiamento -dovuto probabilmente alla malattia del padre, un tumore all’intestino, che lo porterà via nel 1976- che lo porterà ad abbracciare gli ideali di uguaglianza del comunismo di Berlinguer. Un vero trauma,  come raccontò la sorella Maria, visto che in famiglia si è sempre votato per la Democrazia Cristiana. Del comunismo Giovanni intravedeva soprattutto la possibilità di appianare le disparità sociali anche se, durante il suo lavoro, non si lascerà mai influenzare dalle proprie idee politiche: saranno proprio i suoi “amici di sinistra” ,infatti, a criticarlo più ferocemente.

Nel 1978 Falcone tornò a Palermo, sempre in via Notarbartolo, anche se questa volta da solo:  la moglie Rita lo aveva lasciato per restare a Trapani. Giovanni  giurerà di non innamorarsi mai più di una donna.

La sua vita però cambierà l’anno successivo.

Cesare Terranova venne assassinato il 25 settembre 1979 da un agguato mafioso e il dirigente dell’ufficio istruttore ,Rocco Chinnici, chiederà a Falcone di entrare in quello che sarebbe divenuto presto un esempio innovativo di organizzazione giudiziaria, l’Ufficio istruzione della sezione penale: insieme a lui fu chiamato anche il suo vecchio amico Paolo Borsellino.

Chinnici era un magistrato ostinato, classe 1925, a cui interessava solamente far bene il proprio lavoro: il “padre” ideale per Giovanni.

Proprio per questo affidò a Falcone un caso molto complesso: i presunti rapporti tra Rosario Spatola e la mafia americana. Spatola era un noto costruttore edile, incensurato, a Palermo era considerato un benefattore per aver dato lavoro a molte famiglie. Nessuno sapeva che in realtà era un campione nel riciclaggio del denaro sporco accumulato con il traffico di eroina.

Il giudice a, questo punto, metterà in atto quello che diventerà celebre come “metodo Falcone”: un’indagine a 360° che non tralascia nulla, a cominciare dai conti bancari. Giovanni capì che ,per indagare con successo sulle associazioni di stampo mafioso, era necessario ricorrere alle indagini patrimoniali  diventando il primo giudice a far saltare il tabù dei conti bancari: per farlo si recò in tutte le banche di Palermo chiedendo le distinte di cambio valuta estere dal 1975 in poi.

Ottenuti questi dati e dopo un’attenta analisi, Falcone iniziò a vedere davanti a sé il quadro di una gigantesca organizzazione criminale, Cosa Nostra. “Seguendo i soldi” Giovanni riuscì a risalire ai rapporti tra Spatola e la famiglia mafiosa dei Gambino in New Jersey: era l’inizio del processo rinominato “Pizza Connection”.

Dalle analisi dei dati venne fuori ,però, che Falcone non poteva lavorare da solo contro la mafia italo-americana, perciò nel 1980 si recò a New York per parlare di mafia e iniziare le indagini insieme al procuratore Rudolph Giuliani: lavorando con lui, Falcone scoprì un modello di indagine molto più organizzato di quello italiano che si avvaleva di uno strumento nuovo per l’epoca, il computer. Insieme, i giudici italiani e quelli americani scoprirono  i traffici illeciti che la famiglia Gambino mascherava tramite bar e ristoranti -da qui il termine “Pizza Connection”- anche grazie all’arresto, nel marzo 1980, di tre corrieri della droga che lavoravano per un ‘organizzazione con a capo Francesco Mafara (costruttore edile legato al boss Palermitano Stefano Bontate), la cui merce però era sempre diretta alla famiglia Gambino.

Per la prima volta ,Falcone percepì la pericolosità delle sue indagini: ricevette le prime minacce e fu messo sotto scorta dopo l’uccisione del procuratore Costa, firmatario del provvedimento di arresto contro Spatola.

Venne a sapere che con le sue indagini patrimoniali “stava rovinando l’economia palermitana”: per la prima volta Giovanni fu costretto a scontrarsi contro un muro di omertà, la cosiddetta “giustizia immobile”.

Fu in questo periodo che Falcone conobbe Francesca Morvillo  Classe 1945, Francesca era una giudice del  tribunale dei minori di Palermo che nel corso della carriera  avrebbe ricoperto anche il ruolo di consigliere per la corte di appello di Palermo.

A questo punto la vita di Giovanni cambiò radicalmente, con le indagini sulla mafia italo-americana che sfociarono in 144 rinvii a giudizio (22 per il processo Mafara e 120 per quello Spatola): il suo metodo funzionava e lui iniziava ad essere uno dei principali giudici antimafia palermitani.

Nel 1983 andò a convivere con Francesca nella casa di via Notarbartolo. Tuttavia, il  grande successo professionale  si rivelò allo stesso tempo un grave problema nella vita privata. Niente cinema, passeggiate, ristoranti, neppure il mare d’estate: al giudice restava solo il nuoto, bottino amaro per chi era da sempre un grande sportivo. Nonostante questa esistenza di privazioni alcuni vicini di casa riescono persino a lamentarsi per via delle sirene delle auto di scorta, arrivando a proporre il suo  trasferimento fuori città per non disturbare la “gente che lavora”.

Giovanni ,però, sapeva che quello che stava facendo era giusto e  proseguì dritto per la sua strada, fino a quando una bomba cambiò la sua vita.

Lorenzo M., 4I

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