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DAL POOL AL MAXIPROCESSO: I DIFFICILI ANNI ‘80.

A questo punto le storie dei due giudici si fondono in una:  il 29 luglio 1983 muore Rocco Chinnici.

Settantacinque chili di tritolo nascosti in una fiat 126 di colore verde, parcheggiata davanti alla sua abitazione in via Pipitone 59, uccidono lui, due uomini della scorta e il portinaio. Per Paolo è probabilmente il colpo più difficile da superare di tutta la sua vita: Chinnici non era solo il suo capo, era un suo grande amico. Inoltre, nelle indagini si scopre che la polizia era a conoscenza della possibilità di un attentato ai danni del giudice – il quale in quel periodo stava indagando su due esponenti politici democristiani affiliati alla cosca dei Salemi, i fratelli Salvo –,  ma non aveva fatto nulla per aumentare la sua sicurezza. Purtroppo il nome di Rocco è solo l’ultimo di una lunga lista che d’ora in avanti si allungherà sempre di più. Anche Giovanni rimane scosso dalla morte del proprio “maestro”.

Per fortuna però a Palermo non perdono tempo e l’8 Novembre 1983 Antonino Caponnetto diventa il nuovo consigliere istruttore: nasce il pool Antimafia.

Attorno a lui si riuniscono, oltre a Paolo e Giovanni, i magistrati Giuseppe di Lello e Leonardo Guarnotta: i quattro d’ora in avanti si occuperanno sempre e solo di una stessa indagine, quella che nel 1986 porterà all’avvio del Maxiprocesso di Palermo. 

Con l’istituzione del pool riprendono ovviamente anche i successi dei giudici: i due più importanti sono la cattura e il sequestro di tutti i beni di Tommaso Spadaro (amico d’infanzia di Falcone) e le dichiarazioni che Tommaso Buscetta rilascia a Giovanni a partire dal luglio del 1984. Sono proprio i due Tommaso a dare una svolta alle indagini, in particolare il secondo. Il “boss dei due mondi” infatti decide di affidarsi alla giustizia dopo che i mafiosi Corleonesi (vittoriosi nella seconda guerra di mafia proprio sui Palermitani, di cui lui faceva parte) – e in particolar modo Totò Riina – hanno deciso di uccidergli i parenti maschi fino al ventesimo grado di parentela: questo ordine costerà la vita a undici parenti del boss, tra cui i suoi due figli, spariti e mai più ritrovati.

Grazie alle sue dichiarazioni, Giovanni riesce a conoscere la struttura gerarchica della mafia; quando però Falcone chiede di possibili legami tra la mafia e lo Stato, Tommaso non risponde, affermando che quelle dichiarazioni avrebbero  scosso troppo lo Stato, a suo dire impreparato a informazioni di tale portata. 

Il lavoro che ora il pool deve compiere non è facile: deve imbastire le indagini per il Maxiprocesso e deve iniziare a catturare i mafiosi. Per questo il 30 settembre 1984 scatta la maxi-retata contro i mafiosi siciliani: vengono emessi 366 mandati di cattura e un centinaio di comunicazioni giudiziarie, che coinvolgono anche l’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino.

A questo punto Paolo e Giovanni capiscono che una strada da seguire per continuare le indagini è sicuramente quella dei pentiti: dopo Buscetta infatti anche Salvatore Contorno diventa un collaboratore di giustizia.

Contorno è un miracolato scampato a un attentato mafioso nel 1981 e con le sue dichiarazioni porta il pool a emettere, il 25 ottobre 1984, 127 mandati di cattura e 56 arresti eseguiti tra Palermo, Roma, Bari e Bologna.

A novembre Paolo e Giovanni partono per il Brasile insieme a Giuseppe Ayala (uno dei sostituti procuratori del pool) e al poliziotto Ninni Cassarà, per interrogare Leonardo Badalamenti, figlio del più noto e potente Gaetano. In Brasile i due sfuggono a un attentato di Cosa Nostra – che viene sventato, come poi verrà rivelato dai servizi segreti americani – e al termine di quel viaggio finiscono agli arresti i fratelli Salvo. 

Ora però l’obiettivo principale dei due giudici è quello di salvaguardare la vita dei collaboratori di giustizia, per evitare che vengano subito eliminati dai mafiosi: per questo i due scrivono al Presidente della Repubblica Sandro Pertini e al Presidente del Consiglio Bettino Craxi, chiedendo dei provvedimenti per proteggerli e poter continuare ad avere le loro preziose informazioni.

Nonostante ciò, il pool prosegue il suo programma: ormai l’obiettivo è il Maxiprocesso, per il quale il ministero ha già stanziato i fondi. Verrà costruita un’aula bunker apposita nel carcere dell’Ucciardone a Palermo, “un’astronave verde” che ospiterà 475 imputati in primo grado e centinaia di avvocati difensori. 

Nell’estate del 1985 vengono però uccisi Giuseppe Montana e Ninni Cassarà, stretti collaboratori di Paolo e Giovanni e qualcuno inizia a temere per la loro stessa incolumità: sono loro i prossimi obiettivi di Cosa Nostra.

Per questo motivo i due vengono trasferiti in gran segreto con le loro famiglie sull’isola dell’Asinara, dove potranno lavorare in relativa tranquillità alla stesura dell’ordinanza-sentenza del Maxiprocesso. Paolo e Giovanni lavorano gomito a gomito, concedendosi solo qualche sporadico momento di relax. Al loro ritorno a Palermo dopo l’estate, li attende però una sorpresa: il conto delle spese di 415.800 lire a testa. Lo Stato infatti ha pagato solo l’alloggio, il vitto è a carico degli “ospiti”. 

Il loro lavoro porta alla storica ordinanza firmata l’8 Novembre 1985 da Antonino Caponnetto contro Abbate Giovanni e altri 706 imputati. Nelle 8600 pagine scritte da Paolo e Giovanni ci sono i retroscena dell’omicidio del generale Dalla Chiesa, gli intrecci tra mafia e politica e i più disparati settori di attività illecita di Cosa Nostra. 

Circa due settimane dopo però accade un grave incidente. Il 25 novembre un’auto della scorta di Borsellino sbanda, travolge un gruppo di liceali in attesa dell’autobus e muoiono due ragazzi. Questa tragedia segna nel profondo il giudice, da sempre contrario a quel tipo di scorta. Superato questo avvenimento, che procura a Paolo e a quelli che come lui “sfrecciano per le vie del centro usando la cultura dell’emergenza” minacce e insulti, si apre il Maxiprocesso. È il 10 Febbraio 1986. 

A fine anno Paolo però decide di candidarsi per diventare procuratore a Marsala: alcuni detrattori, i soliti, dicono che lo fa per smettere di combattere contro la mafia. In realtà, Marsala è un centro nevralgico per i commerci mafiosi e proprio per questo motivo Borsellino ha chiesto di diventare procuratore lì, dopo l’esperienza che ha acquisito a Palermo.

A dicembre del 1986 il pool perde dunque Paolo, che diventa procuratore a Marsala, ma acquista tre nuove figure per portare avanti il processo (i fogli processuali sono ormai quasi un milione): Ignazio De Francisci, Gioacchino Natoli e Giacomo Conte.

L’anno seguente, precisamente il 16 dicembre, si chiude il primo grado del Maxiprocesso con 360 condanne, 2.665 anni di carcere complessivi e 11,5 miliardi di lire di multe. Il pool ha vinto, o meglio, ha battuto per la prima volta il mostro: mancano ancora due gradi di giudizio e Giovanni sa benissimo che possono cambiare tutto…

E tutto cambia l’anno seguente. 

Antonino Caponnetto deve lasciare la guida del pool per limiti di età e per motivi di salute: Giovanni si candida a succedergli per portare avanti il lavoro compiuto nell’ultimo lustro. Insieme a lui si candida però anche Antonino Meli, magistrato di Caltanissetta.

A sorpresa il 19 gennaio 1988 Meli diventa il nuovo consigliere istruttore a Palermo, succedendo a Caponnetto alla guida del pool: Giovanni viene votato da soli 10 componenti (tra cui il futuro Procuratore della Repubblica di Palermo Gian Carlo Caselli) contro i 14 favorevoli a Meli scelta motivata in base alla sua maggiore anzianità di servizio , gli astenuti sono stati cinque.

Meli si insedia e subito smantella il metodo di lavoro del pool. Per Giovanni è un colpo durissimo e inizia a sospettare che qualcuno o qualcosa vada contro le sue indagini. Borsellino dal canto suo si scaglia contro il Consiglio Superiore della Magistratura, affermando che è stato preferito Meli a Giovanni per motivazioni risibili, difficili da comprendere. 

A questo punto inizia un periodo molto duro per i due magistrati: sono costantemente bersagliati dall’opinione pubblica, da scrittori, giornalisti, altri magistrati e persino dai loro collaboratori. Dopo i successi che hanno ottenuto, tutti o quasi hanno voltato loro le spalle. Giovanni per questo cambia aria: da Palermo va a Roma per dirigere la sezione Affari Penali del ministero di Grazia e Giustizia. Paolo dal canto suo dopo cinque anni come procuratore di Marsala – in cui ebbe anche un acceso confronto con lo scrittore siciliano Leonardo Sciascia, particolarmente critico nei confronti della sua nomina – chiede e ottiene il trasferimento a Palermo.

Intanto il 10 dicembre 1990 arriva la sentenza d’appello del Maxiprocesso e non mancano le polemiche: le condanne sono state quasi tutte ridotte in modo cospicuo. Da 19 si è passati a 12 ergastoli, da 2.665 anni di carcere si è arrivati a 1.576 e vengono pronunciate 87 nuove assoluzioni. Come se non bastasse l’11 febbraio 1991 vengono scarcerati 40 imputati condannati in primo grado e in appello per la scadenza dei termini di custodia cautelare e ciò suscita polemiche anche all’interno della classe politica.  Per ovviare a questa situazione, ai primi di marzo viene emanato un decreto-legge con cui vengono modificati i termini della custodia cautelare; gli imputati scarcerati sono così costretti a tornare in cella.

Siamo ormai arrivati al 30 Gennaio 1992, giorno della sentenza definitiva con cui si chiude il Maxiprocesso, e qualcosa di incredibile sta per succedere…

Lorenzo M. , 4I

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