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CONFUSIONE, IGNORANZA, MENEFREGHISMO: I 18ENNI AL VOTO

C’è una data: il 4 marzo si vota, e i neodiciottenni del terzo millennio sono chiamati a farlo. Per qualcuno vuol solo dire scuole chiuse il giorno dopo, ma per loro? Al varco dell’appena compiuta maggiore età, i ’99 e qualche 2000 si ritrovano catapultati in questo arduo compito, di cui prima non si erano minimamente preoccupati. Sbattono improvvisamente il naso contro quella che viene, prepotentemente, additata come una grande responsabilità. Nel suo solito discorso di fine anno, il presidente Mattarella si è preoccupato della questione astensionismo e ha sollecitato i giovani a non alimentare questa piaga, purtroppo, in crescendo. Ma ai giovani interessa questo mondo? O meglio, i giovani sanno di questo mondo? O l’ignoranza e il menefreghismo sono più semplici da gestire? E ancora, l’astensionismo di cui parla Mattarella è un sintomo di questo o una scelta ben precisaI diciottenni, e in generale i giovani, di oggi (quelli informati) sono sfiduciati. In una delle campagne elettorali più ridicole di sempre, che più che  una seria presentazione dei propri programmi assomiglia a un’asta e a una gigantesca cagnara, forse è effettivamente più facile togliersi il mal di pancia di un tale impegno. Leader politici che, invece di qualificare i propri progetti, mirano unicamente a screditare quelli altrui. Mamme, papà, nonni, zii che difendono a spada tratta fazioni politiche anacronistiche, confondendo solo maggiormente le idee di un povero diciottenne disorientato e disilluso. Niente Cittadinanza e Costituzione nelle scuole (forse perché chi sa meno è più raggirabile?): qualcuno sa qualcosa sulla Costituzione? Che ha il diritto e il dovere di votare? Che non eleggiamo il Presidente del Consiglio ma il Parlamento? Che, per giunta, fino ai 24 anni si vota solo per la Camera? Un programma di storia che termina con la Guerra Fredda e non cita minimamente la situazione politica italiana della Prima Repubblica. Ma cos’è ‘sta Prima Repubblica?! Giustamente Checco Zalone si rivolge ad un bambino dicendogli “Ma tu che ne sai?”. Il neodiciottenne ignorante in materia non va a votare. Non va perché sente il mondo della politica lontano da lui, da ciò che lo riguarda in senso stretto, in senso pratico. È roba da grandi, non interessano i termini astrusi e inglesizzati che qualche leader usa per sembrare più moderno. Secondo il sondaggio di “La Stampa”, il 48% dei diciottenni ritiene di essere poco o per nulla informato di politica, il 60% ha poca fiducia nei politici, il 10% pensa che sia un argomento troppo difficile. Poi, fortunatamente, c’è chi si prende carico dell’impegno che ha l’onere e l’onore di assolvere, chi si accorge che il futuro lo viviamo noi, ma molti di questi vagano nell’oblio. In un panorama politico come quello odierno, tra la sfiducia e il sentimento di esclusione, come può un giovane trovare soddisfazione nel votare? Tra una riforma Gelmini di qua e una Buona Scuola di là, con che determinazione fa la sua scelta non notando alcun investimento su se stesso, sui giovani? Poi ci si domanda il perché della “fuga di cervelli”. Certo, l’ignoranza e il menefreghismo non fanno bene al singolo e alla collettività. L’ignoranza è più facilmente controllabile, e questo ce l’ha detto milioni di volte la storia. Informarsi ed esercitare i propri diritti e doveri è d’obbligo, specialmente in una situazione instabile e incerta come quella dell’Italia di oggi. Poter dire la propria è un’opportunità inestimabile, farlo è un dovere, e arrivare preparati lo è altrettanto: “la più grande arma di distruzione di massa è l’ignoranza”. Buon voto.

Riccardo 5F

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